Finanza sostenibile: nuovi cambiamenti nella denominazione dei fondi green

L’ESMA decreta la fine dell’era ESG


Negli ultimi anni le questioni ambientali sempre più urgenti e la volontà politica di agire nella direzione di un cambiamento in positivo hanno avuto come conseguenza un aumento dell’attenzione delle imprese verso le tematiche ESG. Anche i consumatori sono sempre più consapevoli e vogliono sapere da dove provengono i prodotti che comprano e come operano le aziende dalle quali acquistano. Di conseguenza, anche l’interesse degli investitori si è spostato, insieme a un aumento della regolamentazione sulle tematiche che riguardano questioni sostenibili.

Questo dimostra come sia cresciuta notevolmente la sensibilità dell’opinione pubblica verso questi temi e, di conseguenza, anche il volume di prodotti finanziari gestiti secondo criteri sostenibili e responsabili.

Al tema della finanza sostenibile spesso si associa l’acronimo ESG, che sta per Environmental, Social e Governance, e che si utilizza per indicare tutte le attività legate ad un investimento responsabile, ovvero, quelle che perseguono obiettivi finanziari che al contempo tengono in considerazione gli aspetti di natura ambientale, sociale e di governance.

L’acronimo ESG è stato coniato nel 2004 in occasione dell’iniziativa del Global Compact delle Nazioni Unite nel rapporto “Who Cares Wins“. Nell’anno successivo viene approfondito il significato del termine, sottolineando l’importanza delle tre dimensioni ESG per il mondo della finanza.

Nel Rapporto Freshfields (“A legal framework for the integration of environmental, social and governance issues into institutional investment”) stilato nell’ottobre 2005, vengono fornite delle linee guide su come integrare al meglio le questioni ambientali, sociali e di governance (ESG) nei processi di investimento.

L’idea alla base è che le aziende devono per forza considerare le tematiche ESG se vogliono avere successo in un mercato ormai globalizzato e interconnesso, nel quale gli stakeholder hanno una particolare sensibilità su questi temi e si aspettano che le aziende agiscano per risolvere le sfide globali. E in questo ambito la finanza fa da perno per il movimento di risorse e capitali.

Sicuramente ancora oggi mettere in atto una strategia ESG rappresenta una sfida sia per le aziende sia per gli investitori. Un aspetto che è fondamentale, ma che spesso manca, è l’affidabilità e la trasparenza dei dati sulle questioni ambientali e sociali, il che rende difficoltoso definire degli obiettivi e dei traguardi chiari e verificabili. Per questo negli anni ci sono stati diversi tentativi da parte della autorità di regolamentare questi aspetti.

Ed è per questo che oggi l’ESMA (European Securities and Markets Authority), l’autorità che vigila sui mercati finanziari europei, a 20 anni dalla nascita del termine ESG, ne ha decretato la fine, o meglio, ne ha modificato l’utilizzo. Le linee guida sono relative appunto all’uso dei termini ESG nella denominazione dei fondi. L’autorità di vigilanza è intervenuta per contenere l’utilizzo indiscriminato di tali parole a tutela degli investitori: l’obiettivo è di combattere il fenomeno del greenwashing.

La grande novità introdotta dalle linee guida (che entreranno in vigore tre mesi dopo la pubblicazione della traduzione e avranno effetto sui fondi dopo 6 mesi) è la separazione delle tre lettere. O meglio, la dimensione ambientale "E" viene separata dalle altre due.

La dimensione sociale "S" e la "G" di governance saranno associate a una nuova categoria introdotta, chiamata “Transition, che avrà l’obiettivo di valorizzare e stimolare il percorso di decarbonizzazione di aziende che hanno parte dei ricavi da combustibili fossili. Per questa nuova categoria l’ESMA richiede che almeno l’80% degli asset sia investito in attività sostenibili allineate al cosiddetto Climate Transition Benchmark (Ctb).

L’abbreviazione ESG invece rimane a identificare solo i temi ambientali. Tali fondi, oltre a rispettare il limite dell’80% degli investimenti sostenibili dovranno anche allinearsi al Pab, Paris-aligned benchmark, ovvero indici allineati al Trattato di Parigi sul cambiamento climatico e che, dunque, non possono investire in aziende che hanno ricavi da combustibili fossili.

Stiamo assistendo quindi a un nuovo cambiamento nell’etichetta dei fondi ESG, ma un cambio di passo necessario, perché, come detto, serve solo a impedire l’utilizzo indiscriminato e a chiarire l’entità reale dei fondi ESG. E questo è fondamentale, perché è stato ormai ampiamente studiato e riscontrato che un’efficace gestione dei rischi ESG presenta numerosi benefici, primo fra tutti il miglioramento dei rendimenti finanziari, ma anche l’aumento dell’interesse degli investitori che sono sempre più attenti ai temi della sostenibilità e anche dei clienti e consumatori, che si affidano di più ad aziende attente alle variabili ESG e che hanno stabilito piani di gestione del rischio ESG credibili.

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